La notizia è interessante, anche se a prima vista pare poco più che un morboso pettegolezzo urbano.
Presso l’aeroporto di Schiphol, Olanda, uno di quelli meta di molte compagnie e voli low cost, si sta sviluppando un fiorente commercio del sesso nell'area partenze, secondo quanto riporta il quotidiano olandese De Telegraaf.
Molte ragazze, provenienti prevalentemente dall'est Europa, in aeroporto offrono i loro servizi avvicinando passeggeri in transito o con i voli in ritardo, e poi, anche in giornata, fanno rientro al loro paese d'origine.
Prostituzione senza confini. Il sesso mercenario passa quindi le frontiere in giornata. Si tratta di una attività collaudata, pare la più antica del mondo, ma soprattutto quella che produce un altissimo valore aggiunto e che gode di margini assai alti, comunque sufficienti per mettere a budget il costo del volo di andata e ritorno dal proprio paese, ad esempio Ungheria, Romania, per una giornata di prestazioni sessuali a migliaia di km di distanza.
L’aeroporto garantisce un’altra delle condizioni fondamentali per il commercio in generale, specie quello al minuto, che è il traffico, il passaggio. E in uno scalo aereo come quello di Amsterdam Schiphol di potenziali clienti ne passano a frotte, di tutte le razze, età e ceti sociali.
Quindi, se venite avvicinati da una avvenente ragazza a Schiphol, attenzione, non è amore!
29 lug 2011
27 lug 2011
Il perfetto autogol 2.0
Il web è grande. Un mare. E nel mare ci sono pesci di ogni tipo. Capita di fare incontri sgraditi talvolta e di… beccarsi qualche morso: le critiche.
Specie nei luoghi digitali della interazione 2.0, quella spinta e istantanea, Facebook, Twitter, Google+…
Ci criticano... che fare? Qualche suggerimento lo leggiamo nel post “3 regole per reagire ai commenti negativi su Twitter” del social media manager Davide Licordari.
In sintesi: non essere permalosi, non inserirsi in conversazioni altrui, avere l’abilità di sdrammatizzare.
I social media hanno una capacità di ridondare, propagare, amplificare i messaggi davvero notevole e anche incontrollabile, essere consapevoli di ciò è necessario per chi scrive on line. Sono dell’idea che quando si installa la propria presenza sui social media sia doverosa una riflessione di come ci si presenterà ma soprattutto di come si “costruirà” nel tempo il proprio profilo. E il profilo si costruisce post by post, like by like, share by shere, circle bye circle, commento dopo commento etc etc…
Vi segnalo in proposito un esempio di autolesionismo davvero difficile da comprendere (perchè l’avrà fatto? Come ci è cascato?) che costituisce una case history davvero interessante.
Il sito D-Repubblica recensisce il libro "Italia Low Cost", dedicandogli un bello spazio (Low cost: uno stile di vita), tanto da riportare uno slide show in cui si estrapolano alcune idee ritenute interessanti. In periodo di crisi il tema ha certamente appeal e non è difficile catturare l’attenzione dei lettori.
Le promesse contenute nel titolo possono essere tradite o meno dal contenuto, ma non è questo il fatto. Il fatto lo trovate in calce all’articolo, nei commenti, che sono strutturati attraverso l’apposito plug-in sociale di Facebook: in sostanza il lettore loggato a Facebook può commentare e il suo commento può apparire anche sul social network.
Alcuni lettori commentano:
Ma come? Repubblica ti dedica una recensione, apre uno spazio alla interazione con i potenziali acquirenti e dopo i primi due commenti l’autore interviene e “redarguisce” i lettori?
Prima domanda: era necessario intervenire e così presto? Non era più utile ascoltare e fare tesoro dei commenti?
Seconda domanda: era necessario fomentare le critiche in maniera così aggressiva, attaccando i lettori?
Leggendo il flusso dei commenti troviamo un’altra risposta stucchevole dell’autore:
Specie nei luoghi digitali della interazione 2.0, quella spinta e istantanea, Facebook, Twitter, Google+…
Ci criticano... che fare? Qualche suggerimento lo leggiamo nel post “3 regole per reagire ai commenti negativi su Twitter” del social media manager Davide Licordari.
In sintesi: non essere permalosi, non inserirsi in conversazioni altrui, avere l’abilità di sdrammatizzare.
I social media hanno una capacità di ridondare, propagare, amplificare i messaggi davvero notevole e anche incontrollabile, essere consapevoli di ciò è necessario per chi scrive on line. Sono dell’idea che quando si installa la propria presenza sui social media sia doverosa una riflessione di come ci si presenterà ma soprattutto di come si “costruirà” nel tempo il proprio profilo. E il profilo si costruisce post by post, like by like, share by shere, circle bye circle, commento dopo commento etc etc…
Vi segnalo in proposito un esempio di autolesionismo davvero difficile da comprendere (perchè l’avrà fatto? Come ci è cascato?) che costituisce una case history davvero interessante.
Il sito D-Repubblica recensisce il libro "Italia Low Cost", dedicandogli un bello spazio (Low cost: uno stile di vita), tanto da riportare uno slide show in cui si estrapolano alcune idee ritenute interessanti. In periodo di crisi il tema ha certamente appeal e non è difficile catturare l’attenzione dei lettori.
Le promesse contenute nel titolo possono essere tradite o meno dal contenuto, ma non è questo il fatto. Il fatto lo trovate in calce all’articolo, nei commenti, che sono strutturati attraverso l’apposito plug-in sociale di Facebook: in sostanza il lettore loggato a Facebook può commentare e il suo commento può apparire anche sul social network.
Alcuni lettori commentano:
Elisabetta: “Bè!...il libro non è low cost...”L’ultimo commento, aggressivo, è di Filippo Astone, giornalista, l’autore del libro.
Benedetto: “Se proprio devi risparmiare, comincia da questo libro”
Filippo Astone: “Certo, risparmia anche da tutti i libri. resta analfabeta, così sarei libero da problemi”.
Ma come? Repubblica ti dedica una recensione, apre uno spazio alla interazione con i potenziali acquirenti e dopo i primi due commenti l’autore interviene e “redarguisce” i lettori?
Prima domanda: era necessario intervenire e così presto? Non era più utile ascoltare e fare tesoro dei commenti?
Seconda domanda: era necessario fomentare le critiche in maniera così aggressiva, attaccando i lettori?
Leggendo il flusso dei commenti troviamo un’altra risposta stucchevole dell’autore:
“i commenti sono poco consistenti, e nessuno di quelli che li ha espressi si è minimamente informato su ciò di cui si parlava”Altro attacco pubblico ai lettori. e ancora:
“il libro non è un inno al risparmio, nè un manuale per il risparmio. la sintesi che ne ha fatto l'articolo, purtroppo, lo tradisce”L'autore del libro "Italia Low Csot" se la prende di fatto anche con il collega che gli ha fatto la recensione, senza semmai approfondire e spiegare meglio il senso della sua opera, che è la vera opportunità (non colta dall’autore del libro) che i commenti offrivano. Un autogol in stile web 2.0.
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25 lug 2011
Matrimonio combinato o botte
Nura è una ragazza pachistana che vive a Bologna. Ha bevuto dell’acido per suicidarsi ed ora è ricoverata all’ospedale. Voleva togliersi la vita per non sposare il connazionale mai visto che la sua famiglia le aveva assegnato come marito. Una tradizione di quei luoghi, una barbarie direi io.
Nura invece era interessata ad un altro connazionale, conosciuto effettivamente, con il quale scambiava qualche telefonata. Del matrimonio combinato non voleva (giustamente) saperne.
Nura invece era interessata ad un altro connazionale, conosciuto effettivamente, con il quale scambiava qualche telefonata. Del matrimonio combinato non voleva (giustamente) saperne.
“L'ho picchiata perché non mi ha detto chi è il ragazzo con cui parlava al telefono per la quinta volta – è il fratello di Nura che racconta -. Lei è fidanzata in Pakistan da quando aveva 14 anni, lo so da un anno che non ne vuol sapere e le ho anche assicurato che l'avrei aiutata, ma ora deve stare buona, è troppo piccola. Da noi i matrimoni li decide la famiglia. Anch'io mi sono sposato l'altro giorno con una ragazza che sta in Pakistan. L'ho vista una sola volta in fotografia".Domanda: le botte, le imposizioni…. Pratiche accettate che fanno davvero parte della cultura di questo popolo o solo di una sua parte afflitta da ignoranza e arretratezza? Può un essere umano scegliere liberamente a quale cultura associarsi nelle proprie scelte? E' possibile l'integrazione senza l'abbandono di questa "cultura"?
"La polizia è venuta quattro volte chiamata dai vicini quando mio padre ci picchiava. Nostro padre picchiava Nura per esempio se ritardava sul lavoro e anche noi fratelli. Picchiava tutti".
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22 lug 2011
Italiani brava gente? No, benestanti...
A prima vista sembrerebbe una enorme stupidaggine. Invece non lo è. L’ultima affermazione in ordine di tempo di Silvio Berlusconi (mentre scriviamo chissà che altro sta dicendo) stride con la situazione della economia reale italiana. Ma non è una affermazione stupida, anzi, nella logica e nelle intenzioni di questo comunicatore ha un senso e un obiettivo: rassicurare. Non certo gli italiani, ma il suo elettorato, quello che ha e ha paura di perdere quel che ha. Non certo il lavoratore precario, il disoccupato…
Italiani... benestanti. Eccola la sua affermazione, resa a margine del vertice straordinario odierno dei leader europei.
Italiani... benestanti. Eccola la sua affermazione, resa a margine del vertice straordinario odierno dei leader europei.
"Noi siamo la terza economia europea, il secondo Paese manifatturiero e abbiamo un sistema bancario solidissimo. Il 75 per cento delle famiglie italiane possiede una casa e abbiamo un sistema pensionistico correlato all'incremento dell'età media e siamo detentori del 60 per cento del debito pubblico. Stringendo, potremmo dire che il nostro Stato ha un debito forte, ma i cittadini italiani sono benestanti".Nel dire "abbiamo un debito forte ma gli italiani sono benestanti" il Silvio da Arcore suggerisce quanto segue.
Primo, siamo indebitati come amministrazione (grazie alla gestione clientelare e affaristica dei governi che nel tempo si sono succeduti), non come singoli cittadini. Naturalmente non è vero perché in caso di default del nostro paese la crisi la pagherebbero immediatamente i cittadini, e d'altronde basta pensare all’ultima finanziaria per rendersene conto: inciderà nei portafoglio dei più deboli in modo irragionevole
Secondo, gli italiani sono benestanti. Non è vero ma qui sta parlando a quelli che lo sono o che hanno quel minimo di certezze (casa, risparmi, lavoro) che li mantiene al sicuro. A questi sta dicendo che non devono sentirsi preoccupati dal debito pubblico che tanto lui, e solo lui, la loro ricchezza non la toccherà, chi mai lo farebbe? Agli altri non parla.
Un tempo "brava gente", oggi gli italiani sono "benestanti".
In Italia governa il centrodestra o il centrosinistra a seconda di come si spostano i voti del centro, i cosiddetti indecisi, ma ogni tanto vanno rassicurati anche i bigotti della politica e degli interessi meramente privati, che stanno dalla sua parte sì, ma non necessariamente con lui, leader screditatissimo e palesemente alla frutta.
20 lug 2011
Mandorlini, Tosi e la responsabilità
Stare a capo di una comunità, essere il leader di un gruppo, comporta responsabilità. La prima tra tutte è quella dell’esempio.
Oggi l’allenatore dell’Hellas Verona, finalmente ritornata nel calcio che conta dopo anni di inopinato "oblio", e con lui il sindaco del capoluogo scaligero, hanno dato una palese dimostrazione di irresponsabilità e – vedremo alla prima occasione in cui blandiranno i violenti – anche di incoerenza.
I fatti. Il Verona convoca i suoi tifosi per presentare la squadra. C’è ancora tutto l’entusiasmo per la promozione conquistata ai danni della Salernitana poche settimane fa. Mandorlini si sente a suo agio e senza mostrare grande acume prende il microfono e incita i tifosi con frasi contro i campani e lancia il coro "Ti amo terrone". Giocatori, tecnici e autorità, Tosi compreso, ridacchiano.
Mandorlini, dimostrando che non ce la fa a dire nulla di più sensato, fa anche un altro passaggio, sottovalutato dai commentatori:
Mandorlini si è giustificato dicendo così:
Anche il sindaco di Verona Flavio Tosi – presente alla presentazione - ha commentato l'episodio.
Perché il calcio fa così fatica ad essere se non esemplare almeno decente?
Oggi l’allenatore dell’Hellas Verona, finalmente ritornata nel calcio che conta dopo anni di inopinato "oblio", e con lui il sindaco del capoluogo scaligero, hanno dato una palese dimostrazione di irresponsabilità e – vedremo alla prima occasione in cui blandiranno i violenti – anche di incoerenza.
I fatti. Il Verona convoca i suoi tifosi per presentare la squadra. C’è ancora tutto l’entusiasmo per la promozione conquistata ai danni della Salernitana poche settimane fa. Mandorlini si sente a suo agio e senza mostrare grande acume prende il microfono e incita i tifosi con frasi contro i campani e lancia il coro "Ti amo terrone". Giocatori, tecnici e autorità, Tosi compreso, ridacchiano.
Mandorlini, dimostrando che non ce la fa a dire nulla di più sensato, fa anche un altro passaggio, sottovalutato dai commentatori:
“Noi abbiamo voi ragazzi, abbiamo voi… non abbiamo paura di nessuno!”.Quisquiglie, ma nella logica del confronto muscolare con la quale certe frange di tifosi vivono il calcio, questo non fa altro che legittimare i meno riflessivi, chiamiamoli così, a darsi da fare, con questa bella investitura, a sostenere e difendere i colori sociali, ognuno come può, a parole, con gli applausi, per qualcuno con i ceffoni e le pietre.
Mandorlini si è giustificato dicendo così:
"E' stato un atteggiamento meramente goliardico, senza nessun riferimento razzista o volontà di offendere, tanto che sono stati coinvolti anche Gennaro Esposito e Domenico Maietta", giocatori meridionali della rosa scaligera".Ora, “Mandorlini uno di noi” penseranno i supporter, ma così non dovrebbe essere. Mandorlini ha il dovere dell’esempio, che non è quello di lanciare cori sinistramente razzisti o comunque votati a accendere piuttosto che a spegnere le tensioni. Probabilmente Mandorlini ha detto tutto quello che poteva, non potendo di meglio.
Anche il sindaco di Verona Flavio Tosi – presente alla presentazione - ha commentato l'episodio.
"Credo che se in uno stadio del Sud venisse intonato il coro ‘ti amo polentone’ nessuno al nord si offenderebbe. Credo che il tecnico Mandorlini nell'intonare il ritornello di una vecchia canzone non avesse minimamente intenzioni razziste come del resto nemmeno i numerosi giocatori originari del Sud Italia che giocano nel Verona".Certo, credi, forse, chissà… ma né lui né tu, caro sindaco, sapete fare di meglio dall’alto del vostro ruolo? Dimenticate che state parlando ad un pubblico in mezzo al quale stanno anche quelli che poi razzisti e violenti lo sono davvero? O le porcherie vomitate da certi gruppi la domenica allo stadio sono invenzioni dei giornali?
Perché il calcio fa così fatica ad essere se non esemplare almeno decente?
La siccità uccide in Africa, appello di AGIRE
Si è discusso, a dire il vero non abbastanza, ma è di poche settimane fa il dibattito sulla privatizzazione dell'acqua, scelta che il referendum di giugno ha respinto.
E mentre qui discutiamo legittimamente di questo, ben 11 milioni di persone sono quotidianamente senza acqua. In Etiopia, Somalia, Kenya e Sud Sudan negli ultimi due anni le piogge sono state assai scarse e oggi la peggiore siccità degli ultimi 60 anni sta privando di cibo e acqua milioni di persone.
Si tratta di un disastro umanitario che coinvolge più del doppio delle persone colpite dal terremoto di Haiti del 2010 e un numero circa 20 volte superiore a quelle coinvolte nel recente tsunami in Giappone.
I media non ne parlano, sono rumnori lontani che non debbono turbare le nostre giornate, no fanno notizia, non vendono giornali.
AGIRE sta invece lottanto affinchè questi uomini, donne e bambini arrivino vivi alla prossima stagione delle piogge. AGIRE ha lanciato un appello di emergenza a cui hanno aderito 9 delle sue organizzazioni non governative gia' presenti nei paesi colpiti. ActionAid, Amref, AVSI, CESVI, COOPI, CISP, InterSos, Save the Children e VIS stanno lavorando per portare cure mediche e assistenza, razioni di cibo, alimenti altamente proteici per bambini e acqua potabile in Etiopia, Kenya, Somalia e Sud Sudan.
Ecco come contribuire:
- In posta
c/c n. 85593614
intestato a AGIRE onlus
via Aniene 26/A 00198 Roma
- In banca
IBAN: IT 79 J 03359 01600 100000060696
Causale Emergenza Africa
- Carta di credito
chiama il numero verde
800.132.870
Il sito di AGIRE: www.agire.it
E mentre qui discutiamo legittimamente di questo, ben 11 milioni di persone sono quotidianamente senza acqua. In Etiopia, Somalia, Kenya e Sud Sudan negli ultimi due anni le piogge sono state assai scarse e oggi la peggiore siccità degli ultimi 60 anni sta privando di cibo e acqua milioni di persone.
Si tratta di un disastro umanitario che coinvolge più del doppio delle persone colpite dal terremoto di Haiti del 2010 e un numero circa 20 volte superiore a quelle coinvolte nel recente tsunami in Giappone.
I media non ne parlano, sono rumnori lontani che non debbono turbare le nostre giornate, no fanno notizia, non vendono giornali.
AGIRE sta invece lottanto affinchè questi uomini, donne e bambini arrivino vivi alla prossima stagione delle piogge. AGIRE ha lanciato un appello di emergenza a cui hanno aderito 9 delle sue organizzazioni non governative gia' presenti nei paesi colpiti. ActionAid, Amref, AVSI, CESVI, COOPI, CISP, InterSos, Save the Children e VIS stanno lavorando per portare cure mediche e assistenza, razioni di cibo, alimenti altamente proteici per bambini e acqua potabile in Etiopia, Kenya, Somalia e Sud Sudan.
Ecco come contribuire:
- In posta
c/c n. 85593614
intestato a AGIRE onlus
via Aniene 26/A 00198 Roma
- In banca
IBAN: IT 79 J 03359 01600 100000060696
Causale Emergenza Africa
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chiama il numero verde
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Il sito di AGIRE: www.agire.it
18 lug 2011
Il papà, paladino o sturmtruppen?
Mi capita regolarmente di confrontarmi con altri genitori sui temi che riguardano la vita familiare. Ammetto che talvolta è un dialogo fatto di occhiate e gesti appena percettibili, intese che palesano sconforti e gioie della quotidianità. A volte bastano i segni: nei primi mesi di vita dei miei bambini dormivo pochissimo, e ogni mattina la mia faccia comunicava perfettamente anche non volendo il mio stato d’animo!
Il confronto con "i propri simili" certamente è fonte di apprendimento. Non l'unica, s'intende però, poiché anche il raffronto con chi non vive la dimensione della famiglia con figli è foriero di rivelazioni di grande interesse.
Infatti, osservando un modello di famiglia significativamente diverso, per numero ma soprattutto per dimensione di impegno, per differenza vedo meglio alcuni aspetti che nella famiglia con figli rischiano di restare sommersi o poco focalizzati.
Uno di questi è il ruolo della coppia e il modo in cui questa vive nella famiglia.
Ripeto a me stesso che la coppia è il fondamento della nostra famiglia e che se questa base viene meno il gruppo familiare inevitabilmente s’incrina, diciamo, eufemisticamente, che è costretto a mutare.
Io penso che un bimbo nasca anzitutto nella mente e nel cuore della coppia, prima che venga concepito quindi. E lì continua a crescere, non solo nello spazio fisico in cui esprime esigenze fisiche.
Crescere è quel processo di sviluppo contenuto tra due istanze forti, parallele: appartenere a chi lo ama e separarsi da questi. In mezzo a questo spazio, che è il brodo familiare, il bambino cerca e trova la sua individualità, condotto dai genitori che cooperano spartendosi i compiti.
In questa cosa papà e mamma hanno due ruoli diversi (ahimè, dico io… sigh!): la mamma custodisce il legame, ne è il riferimento primo, al papà invece spetta il compito di guidare il bambino prima e l’adolescente poi verso la separazione e l’individuazione e realizzazione di sé.
Fa da contraltare al complesso di Edipo si può dire, offre al figlio la strada per quella separazione. Il momento che mi sembra delicato è quello in cui i bambini passano dal bisogno immediato sempre soddisfatto al quello in cui desiderano e imparano ad attendere e cercare. Qui secondo me inizia il distacco. E mi "pare" che ricada sul padre l’onere di sostenere questo processo. Imponendo le regole che hanno come effetto quello di trasformare i bisogni in desideri.
Ma anche recuperando a sé e corrispondendo le attenzioni della propria compagna, separando i momenti della vita familiare da quelli riservati alla vita di coppia. Sembra un concetto astratto, in realtà è assai pratico: spazi, tempi, gesti esclusivi.
Io gioco con i miei figli ricordando loro che la loro mamma è la mia “fidanzata” e non la loro. In questo modo li invito ad intraprendere la strada che parte dal bisogno affettivo soddisfatto nella famiglia di nascita verso il desiderio di incontrare nel tempo altri riferimenti di affettività e a formare la loro coppia.
Mi sento un po’ come il paladino della coppia in quei momenti, ma non sempre mi riesce ad esserlo senza esitazioni e finisco per sentirmi come un goffo "sturmtruppen". Non è facile. Condurre il ruolo paterno significa essere occupato sia nel favorire piano piano la separazione dei figli sia nel preservare lo spazio della coppia, che è il presupposto della famiglia e come tale va valorizzata e difesa.
Postilla: non mi sono interrogato di proposito sul significato che oggi ha o può avere il termine “famiglia”. Ma è una riflessione da fare.
Il confronto con "i propri simili" certamente è fonte di apprendimento. Non l'unica, s'intende però, poiché anche il raffronto con chi non vive la dimensione della famiglia con figli è foriero di rivelazioni di grande interesse.
Infatti, osservando un modello di famiglia significativamente diverso, per numero ma soprattutto per dimensione di impegno, per differenza vedo meglio alcuni aspetti che nella famiglia con figli rischiano di restare sommersi o poco focalizzati.
Uno di questi è il ruolo della coppia e il modo in cui questa vive nella famiglia.
Ripeto a me stesso che la coppia è il fondamento della nostra famiglia e che se questa base viene meno il gruppo familiare inevitabilmente s’incrina, diciamo, eufemisticamente, che è costretto a mutare.
Io penso che un bimbo nasca anzitutto nella mente e nel cuore della coppia, prima che venga concepito quindi. E lì continua a crescere, non solo nello spazio fisico in cui esprime esigenze fisiche.
Crescere è quel processo di sviluppo contenuto tra due istanze forti, parallele: appartenere a chi lo ama e separarsi da questi. In mezzo a questo spazio, che è il brodo familiare, il bambino cerca e trova la sua individualità, condotto dai genitori che cooperano spartendosi i compiti.
In questa cosa papà e mamma hanno due ruoli diversi (ahimè, dico io… sigh!): la mamma custodisce il legame, ne è il riferimento primo, al papà invece spetta il compito di guidare il bambino prima e l’adolescente poi verso la separazione e l’individuazione e realizzazione di sé.
Fa da contraltare al complesso di Edipo si può dire, offre al figlio la strada per quella separazione. Il momento che mi sembra delicato è quello in cui i bambini passano dal bisogno immediato sempre soddisfatto al quello in cui desiderano e imparano ad attendere e cercare. Qui secondo me inizia il distacco. E mi "pare" che ricada sul padre l’onere di sostenere questo processo. Imponendo le regole che hanno come effetto quello di trasformare i bisogni in desideri.
Ma anche recuperando a sé e corrispondendo le attenzioni della propria compagna, separando i momenti della vita familiare da quelli riservati alla vita di coppia. Sembra un concetto astratto, in realtà è assai pratico: spazi, tempi, gesti esclusivi.
Io gioco con i miei figli ricordando loro che la loro mamma è la mia “fidanzata” e non la loro. In questo modo li invito ad intraprendere la strada che parte dal bisogno affettivo soddisfatto nella famiglia di nascita verso il desiderio di incontrare nel tempo altri riferimenti di affettività e a formare la loro coppia.
Mi sento un po’ come il paladino della coppia in quei momenti, ma non sempre mi riesce ad esserlo senza esitazioni e finisco per sentirmi come un goffo "sturmtruppen". Non è facile. Condurre il ruolo paterno significa essere occupato sia nel favorire piano piano la separazione dei figli sia nel preservare lo spazio della coppia, che è il presupposto della famiglia e come tale va valorizzata e difesa.
Postilla: non mi sono interrogato di proposito sul significato che oggi ha o può avere il termine “famiglia”. Ma è una riflessione da fare.
13 lug 2011
Per la poltrona e il conto in banca
Non sempre i pezzenti sono i morti di fame con le pezze sul sedere. I pezzenti morali sono peggio e talvolta vestono Prada. Hanno auto di lusso e un paio di stipendi lauti a cui mai rinunciare, nemmeno quando il paese è al tracollo.
Nel nostro paese di pezzenti morali ce n’è come dappertutto, un gruppo di questi usiamo chiamarlo “la Casta”, tutti sappiamo a chi ci riferiamo. A quei politici e portaborse ammanicati che alla missione politica hanno sempre preferito quella degli affari e che sanno che con una poltrona di sindaco e una di onorevole gli affari si fanno molto bene. Naturalmente sulla pelle del Paese.
I parlamentari si sono compattamente schierati sempre per evitare riduzioni di stipendi e vitalizi. La notizia non fa più scalpore. O quasi. Quella di oggi sì.
La news è questa: nel Pdl è in atto una raccolta delle firme per reclamare contro la manovra che sarà votata al Senato e che colpisce alcuni ordini professionali (avvocati e notai).
Ma anche un'altra norma è nel mirino, quella che renderebbe inconciliabile l'incarico di parlamentare con quello di sindaco o di presidente di provincia.
Le corporazioni insomma si difendono. I privilegiati che occupano due poltrone e lucrano due stipendi (certo non fanno il lavoro di due persone) si irrigidiscono. La cosa oscena è che alzano la voce i parlamentari che sostengono quel governo che propone questa manovra, e per interessi personali sono disposti a fare cadere il governo stesso mettendo il Paese alle strette.
Nel nostro paese di pezzenti morali ce n’è come dappertutto, un gruppo di questi usiamo chiamarlo “la Casta”, tutti sappiamo a chi ci riferiamo. A quei politici e portaborse ammanicati che alla missione politica hanno sempre preferito quella degli affari e che sanno che con una poltrona di sindaco e una di onorevole gli affari si fanno molto bene. Naturalmente sulla pelle del Paese.
I parlamentari si sono compattamente schierati sempre per evitare riduzioni di stipendi e vitalizi. La notizia non fa più scalpore. O quasi. Quella di oggi sì.
La news è questa: nel Pdl è in atto una raccolta delle firme per reclamare contro la manovra che sarà votata al Senato e che colpisce alcuni ordini professionali (avvocati e notai).
“Fino a quando non verrà tolta la norma che abolisce gli ordini professionali, noi il testo - dice un avvocato del Pdl - non lo voteremo mai dovesse anche cadere Tremonti”.Cioè i parlamentari Pdl che sono avvocati voterebbero contro:
Ma anche un'altra norma è nel mirino, quella che renderebbe inconciliabile l'incarico di parlamentare con quello di sindaco o di presidente di provincia.
“E state pur certi che anche quella norma deve saltare se vogliono che votiamo la manovra”.Il ministro della Difesa Ignazio La Russa è avvocato e guarda caso…:
“Da avvocato ritengo che sia una norma che merita un approfondimento ulteriore. Non mi sembra materia da inserire in un decreto. Ritengo che la protesta degli avvocati non sia affatto irragionevole”.Ma i parlamentari del Pdl sono in ansia anche per un emendamento sottoscritto dai capigruppo dell'opposizione Pd, Idv e Udc al Senato che prevede l'equiparazione degli stipendi di deputati e senatori a quelli di pari grado in Europa e mutamenti nei vitalizi.
Le corporazioni insomma si difendono. I privilegiati che occupano due poltrone e lucrano due stipendi (certo non fanno il lavoro di due persone) si irrigidiscono. La cosa oscena è che alzano la voce i parlamentari che sostengono quel governo che propone questa manovra, e per interessi personali sono disposti a fare cadere il governo stesso mettendo il Paese alle strette.
8 lug 2011
Sporco e ignorante, se è rom va bene
Non curare l’igiene, non andare a scuola. Aberrazioni o scelte che dipendono dal gruppo sociale al quale apparteniamo?
La Corte d'Appello di Bologna ha risposto alla Procura dei Minori che le chiedeva l’affido ai servizi sociali di una bambina rom di Parma di 12 anni che vive in condizioni igieniche precarie e i genitori – con guai con la giustizia - non la mandano a scuola.
La domanda: è giusto levare un figlio ai genitori perché non lo mandano a scuola? L’appartenenza ad un gruppo sociale come quello rom esonera i genitori da questo obbligo?
Ugo Pastore - procuratore dei minori – si richiama alle norme di tutela dei diritti degli under 18, alla convenzione di New York e al al codice penale, e chiede che la bambini sia allontanata dai genitori.
Ma la sezione della Corte d'Appello, presieduta da Vincenzo De Robertis, dà una risposta inattesa:
Detto in parole povere: i rom si lavano poco e a scuola non ci vanno abitualmente, quindi tutto normale: non mandare a scuola la figlia e farla vivere in condizioni igieniche incerte non determina un pregiudizio sufficiente.
Non è una decisione assurda e discriminante questa? Lo Stato italiano promuove la salute pubblica e l’istruzione dei cittadini, a prescindere dall’etnia e dal gruppo sociale di riferimento. E anzi, laddove tradizioni, cultura e disagi contingenti determinino situazioni di abbandono e regresso, tanto più l’azione delle istituzioni dovrebbe essere attenta ed incisiva.
Inoltre, rinunciando alla scuola, si rinuncia alla mediazione culturale che in essa avviene tra etnie e culture diverse, pregiudicando l'integrazione.
Nota giustamente Dimitris Argiropoulos, ricercatore a Scienze dell'Educazione: "In questo modo si aumenta la marginalità e la discriminazione. Il problema non è la cultura dei rom, ma la cultura dell'abbandono in cui sono costretti a vivere. Il problema è la povertà. Se un italiano è povero e non cura i figli si dice che è colpa della sua origine italiana?".
Un punto di vista diverso considera però le diverse radici culturali dei rom che gli affidamenti coattivi rischierebbero di violare.
Credo che la prima violazione non sia quella della cultura rom o che altra, ma quella che i bambini subiscono dai loro genitori, indipendentemente dal gruppo etnico, sociale e dal ceto a cui appartengono, quando i loro diritti fondamentali sono ignorati. E tra questi salute e istruzione non si discutono.
La Corte d'Appello di Bologna ha risposto alla Procura dei Minori che le chiedeva l’affido ai servizi sociali di una bambina rom di Parma di 12 anni che vive in condizioni igieniche precarie e i genitori – con guai con la giustizia - non la mandano a scuola.
La domanda: è giusto levare un figlio ai genitori perché non lo mandano a scuola? L’appartenenza ad un gruppo sociale come quello rom esonera i genitori da questo obbligo?
Ugo Pastore - procuratore dei minori – si richiama alle norme di tutela dei diritti degli under 18, alla convenzione di New York e al al codice penale, e chiede che la bambini sia allontanata dai genitori.
Ma la sezione della Corte d'Appello, presieduta da Vincenzo De Robertis, dà una risposta inattesa:
"La condizione nomade e la stessa cultura di provenienza non induce a ritenere la sussistenza di elementi di pregiudizio per la minore ".Ovvero i comportamenti dei genitori sono riferibili al normale modo di vita per condizione e per origine, sicchè…. Nulla che imponga l’allontanamento.
Detto in parole povere: i rom si lavano poco e a scuola non ci vanno abitualmente, quindi tutto normale: non mandare a scuola la figlia e farla vivere in condizioni igieniche incerte non determina un pregiudizio sufficiente.
Non è una decisione assurda e discriminante questa? Lo Stato italiano promuove la salute pubblica e l’istruzione dei cittadini, a prescindere dall’etnia e dal gruppo sociale di riferimento. E anzi, laddove tradizioni, cultura e disagi contingenti determinino situazioni di abbandono e regresso, tanto più l’azione delle istituzioni dovrebbe essere attenta ed incisiva.
Inoltre, rinunciando alla scuola, si rinuncia alla mediazione culturale che in essa avviene tra etnie e culture diverse, pregiudicando l'integrazione.
Nota giustamente Dimitris Argiropoulos, ricercatore a Scienze dell'Educazione: "In questo modo si aumenta la marginalità e la discriminazione. Il problema non è la cultura dei rom, ma la cultura dell'abbandono in cui sono costretti a vivere. Il problema è la povertà. Se un italiano è povero e non cura i figli si dice che è colpa della sua origine italiana?".
Un punto di vista diverso considera però le diverse radici culturali dei rom che gli affidamenti coattivi rischierebbero di violare.
Credo che la prima violazione non sia quella della cultura rom o che altra, ma quella che i bambini subiscono dai loro genitori, indipendentemente dal gruppo etnico, sociale e dal ceto a cui appartengono, quando i loro diritti fondamentali sono ignorati. E tra questi salute e istruzione non si discutono.
5 lug 2011
Il rispetto si insegna (con un freesbee)
Illegalità, mancanza di rispetto. Permeano la nostra società. Anzitutto la legalità e il rispetto, degli altri, delle regole, sono un fatto culturale.
Si possono instillare questi valori? Certamente sì.
Lo sport è un buon veicolo per i bambini in questo senso. Gli esempi sono tanti e tutte le discipline sportive potenzialmente possono concorrere a insegnare questi valori, attraverso il rispetto delle regole del gioco e dell’avversario.
Un gioco poco conosciuto ma utilizzato in alcune esperienze didattiche (lo fanno a Parma al Giocampus) è Ultimate, gioco di squadra nato negli anni 60 nei campus americani. Si gioca sette contro sette e il fine è fare punto lanciando il frisbee nell’area di meta avversaria, là c’è un compagno di squadra che deve acchiapparlo. Con il frisbee in mano non ci si può spostare se non usando il piede perno, e per lanciarlo ciascun giocatore ha solo 10 secondi di tempo.
La caratteristica principale è che non c’è arbitro, a qualsiasi livello, anche nei campionati mondiali di specialità. Infatti Ultimate è arbitrato dagli stessi giocatori, che discutono brevemente se ci sono dispute.
Imparare a mettersi d’accordo con gli avversari sulle dispute che si verificano durante il gioco… è un modo per crescere, sia come sportivi che come persone.
Si possono instillare questi valori? Certamente sì.
Lo sport è un buon veicolo per i bambini in questo senso. Gli esempi sono tanti e tutte le discipline sportive potenzialmente possono concorrere a insegnare questi valori, attraverso il rispetto delle regole del gioco e dell’avversario.
Un gioco poco conosciuto ma utilizzato in alcune esperienze didattiche (lo fanno a Parma al Giocampus) è Ultimate, gioco di squadra nato negli anni 60 nei campus americani. Si gioca sette contro sette e il fine è fare punto lanciando il frisbee nell’area di meta avversaria, là c’è un compagno di squadra che deve acchiapparlo. Con il frisbee in mano non ci si può spostare se non usando il piede perno, e per lanciarlo ciascun giocatore ha solo 10 secondi di tempo.
La caratteristica principale è che non c’è arbitro, a qualsiasi livello, anche nei campionati mondiali di specialità. Infatti Ultimate è arbitrato dagli stessi giocatori, che discutono brevemente se ci sono dispute.
Imparare a mettersi d’accordo con gli avversari sulle dispute che si verificano durante il gioco… è un modo per crescere, sia come sportivi che come persone.
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