20 gen 2012

Do you remember Kodak?

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Come se sparisse Microsoft, in sostanza.
Il paragone è molto elastico ma Kodak è stato per il mondo intero il produttore per eccellenza di pellicole fotografiche in un’epoca in cui senza queste nessuna immagine sarebbe entrata nei nostri album e nei nostri ricordi.
I ricordi di chi ha più di 15 anni sono fissati su carta fotografica e sono transitati per camera oscura, prima ancora sui film inscatolati nei rullini giallo neri di Kodak.
La notizia è la bancarotta della Eastman Kodak Company.
Che segna – nella time line del mondo – la fine della “società del ricordo” come l’ha definita qualcuno. Dove i ricordi stavano fissati su carta e custoditi in un cassetto, non immagazzinati in innumerevoli copie nelle memorie di pc, smartphone, tablet, chiavette usb etc…
Il ricordo digitale, che è quello che conoscono le ultimissime generazioni – loro solo quello – e al quale ci siamo abituati rapidamente anche noi che abbiamo qualche annetto in più, è un’altra cosa: istantaneo, replicabile, aggiustabile, condivisibile e socializzabile. Uno scatto da smartphone, quello venuto bene, tanto, non costa replicarlo (come invece costava con le pellicole) nel giro di pochi secondi può portare la vostra immagine dall’altra parte del mondo ed essere vista e commentata, anche rubata e riutilizzata, da milioni di persone. L’intimità del ricordo non c’è più, anzi, oggi la condivisione sembra essere il destino frenetico di ogni immagine. Per noi fissare il ricordo significava fare e attendere: comprare il rullino e caricarlo nella macchina fotografica, scattare senza sprecare scatti, portare i rullini dallo sviluppatore, ritirarli e pagare anche gli scarti, aprire la busta e scoprire le immagini, inserirli nel book, riassaporarli con i parenti, gli amici, esporre lo scatto più bello in una cornice. Impensabile per i nativi digitali no?
Sì, è proprio un’altra cosa. Oggi lo scatto non è selettivo e siamo coperti di miliardi di bit di monnezza fotografica, tanto di memoria in cui dimenticare confusamente i troppi scatti ne abbiamo quanta ne serve.

Ce la farà Kodak?

Kodak fu fondata negli Stati Uniti nel 1892 da George Eastman, lo slogan era “Tu premi il pulsante, noi facciamo il resto”.  Creo la prima fotocamera per amatori, dandole un nome che non aveva significato – Kodak – ma che suonava immediato e un po’ onomatopeico. Fu un boom, i concorrenti arrivarono dopo (Fuji, Ilfor, Agfa…) ma il nome era divenuto sinonimo di fotografia.
Oggi Kodak, dopo Agfa e Polaroid, dopo 131 anni, è arrivata quasi al capolinea, al Chapter 11, la normativa fallimentare Usa che prevede protezioni per evitare la chiusura dell’azienda. Kodak negli Stati Uniti aveva oltre il 90% del mercato dei rullini fotografici tradizionali, ma con l'introduzione delle prime fotocamere digitali, sulle quali  i tecnici della stessa Kodak lavoravano già nel 1975, rischia di non avere più soldi per pagare dipendenti e fornitori. Per poter sopravvivere Kodak – ce al CES 2012 presenta prodotti digitali - ha dovuto offrire i suoi 1.100 brevetti legati proprio alle tecnologie digitali. E accedere ai soldi previsti dalla legge americana.

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